La relazione tra il medico di base e il paziente
I pazienti con disturbi psichici che si rivolgono al medico di base sono numerosi. Molto spesso quando la diagnosi non è ancora stata definita.
Egli rappresenta la prima frontiera, il primo sportello che viene contattato quando una persona sta male. Quando avverte un disagio che può coinvolgere sia la sfera mentale che quella fisica, infatti, il paziente accorre spontaneamente alla figura professionale più vicina nella speranza di avere spiegazioni, rassicurazioni ed un’eventuale cura.
Il medico di base, dunque, viene investito della responsabilità di individuare in prima battuta un eventuale disagio psichico ed esplorarne le cause. Lo strumento che ha a disposizione è la capacità di costruire una relazione con il paziente adeguata, professionale, empatica e dedita all’ascolto. Sicuramente un presupposto fondamentale per riuscire a fare una buona valutazione. La maggior parte delle volte il paziente lamenta sintomi fisici che nella realtà sottendono una sofferenza mentale.
Il disagio psichico non è “tangibile” come il dolore provocato da un mal di testa o uno stato influenzale. Per tale motivo il medico deve affinare la tecnica di “leggere tra le righe” (tra le parole, quindi, e il non verbale del paziente) e trarre una prima conclusione. Qualcosa di tutt’altro che facile ma indispensabile.
Il “modello a cancelli” sviluppato da David Goldberg e Peter Huxley
Tale modello schematizza quello che è il percorso assistenziale comune delle persone con disturbi psicologici e psichiatrici a partire dal livello della popolazione generale fino alla condizione più grave del ricovero ospedaliero.
Ogni livello ha un “filtro”, come una sorta di selezione per il paziente:
a) Il consulto del Medico di Medicina Generale che fa una prima valutazione della presenza di un disturbo psichico;
b) Il riconoscimento del disturbo psichico da parte del Medico di Medicina Generale, dopo aver ascoltato attentamente il paziente e vagliato varie ipotesi sulla base dei sintomi più o meno evidenti;
c) L’invio del paziente a cure specialistiche psichiatriche anche private laddove si riscontra una complessità lieve-media del disagio;
d) L’invio del paziente ai servizi territoriali di competenza per una presa in carico specialistica psichiatrica con gestione ambulatoriale;
e) La richiesta di ospedalizzazione nei casi più gravi per cui è necessario un team multiprofessionale che si prenda cura del disagio portato dal paziente.
Questo modello evidenzia il ruolo fondamentale della medicina generale che può condizionare tutto il percorso di diagnosi di un disturbo psichiatrico.
Per questo risulta importante che l’intervento del medico di base sia tempestivo ed efficace: si riducono le richieste di visite successive e soprattutto le conseguenze di una malattia che può trascinarsi per lungo tempo e cronicizzarsi nella sua sintomatologia.
Fonte: Manuale di Psichiatria di A.Rossi, M.Amore, B.Carpiniello,A.Fagiolini, G.Maina, A.Vita. Edizione 2021.
Integrazione del medico di base con gli altri professionisti
Il medico di base ha l’opportunità di integrare la sua valutazione clinica con quella di altri professionisti. Molto spesso, infatti, risulta necessario il coinvolgimento di altre figure come uno psichiatra, uno psicologo, l’invio del paziente al servizio specialistico pubblico o ancora la prescrizione di un ricovero presso una struttura dedicata per un tempo più o meno definito. La scelta è dettata da ciò che emerge dalla relazione con il paziente e la sua volontà e disponibilità ad intraprendere un percorso di aiuto.
La collaborazione tra il medico di base ed altre figure può da una parte garantire al paziente un’assistenza sanitaria completa che risponda ai suoi bisogni e dall’altra evitare una “solitudine professionale” di fronte a situazioni altamente complesse.
Quale ruolo potrebbe avere l’assistente sociale privata?
Il medico di base e l’assistente sociale sono entrambi professionisti del settore sanitario che lavorano per migliorare la salute e il benessere dei pazienti. Tuttavia, il medico di base si concentra principalmente sulla diagnosi e la cura delle malattie. L’assistente sociale lavora per aiutare i pazienti a superare le sfide sociali ed emotive che possono influire sulla loro salute.
Inoltre il medico di base ha una funzione più “diagnostica”, di prescrizione di farmaci e di invio a specialisti quando necessario. L’assistente sociale lavora con i pazienti per valutare le loro esigenze sociali, fornire consulenza, assistenza nella pianificazione delle cure e coordinare le risorse comunitarie.
La figura dell’assistente sociale privata può diventare così un supporto veloce ed efficace a cui indirizzare le persone e un professionista con cui collaborare per fare una valutazione più approfondita ed un monitoraggio costante della situazione del paziente laddove non vi sia nessuna presa in carico da parte del servizio pubblico. O ancora quando vi sono specifiche esigenze come la richiesta di benefici Inps, la ricerca di risorse sul territorio o la nomina di un amministratore di sostegno.
L’assistente sociale, dopo una sua valutazione dei bisogni della persona, può costruire progetti di aiuto, prendere i contatti con servizi pubblici o del terzo settore idonei per fornire risposte più immediate possibili ai pazienti.
Possiamo dunque pensare anche ad una collaborazione tra il medico di base ed un’assistente sociale privata per quelle situazioni dove è evidente che il disagio psichico sottende aspetti di natura sociale? Di fronte a quelle situazioni dove non è necessario coinvolgere il servizio pubblico ma dove una relazione di aiuto esclusiva e mirata ad un determinato obiettivo può permettere un risparmio di tempo ed energia ed un maggior benessere del paziente?